Alcuni giorni fa un’agenzia Ansa comunicava l’arrivo di un contratto collettivo nazionale per il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Una cosa che manca e che da tempo chi lavora in questo ambito chiede a gran voce, visto che, nonstante si parli di era digitale, i contratti collettivi di riferimento utilizzati sono ancora il metalmeccanico, il commercio o quello delle telecomunicazioni.
Negli ultimi mesi il dibattito riguardo lo smartworking e la necessità di lavorare per obiettivi ed in maniera flessibile è aumentato. Sarebbe opportuno che anche la contrattazione collettiva trovasse una base regolamentata in un contratto collettivo condiviso unanimemente.
La news dell’Ansa ha attirato la nostra attenzione anche se poi, scorrendo l’articolo, ci ha lasciati con qualche dubbio sulla formalizzazione delle proposte.
Come si legge, sono due le organizzazioni che hanno sottoscritto un contratto collettivo del settore ICT: la Cifa (Confederazione italiana delle federazioni autonome) e la Confsal (Confederazione generale dei sindacati autonomi dei lavoratori). A loro va certamente il merito di avere sollevato il tema e di aver attratto aziende e lavoratori, ma non sembra che la bozza di contratto proposto sia stata accolta troppo positivamente dalle restanti parti sociali.
Noi, come tanti altri che vivono ogni giorno il mondo dell’ICT (Information and Communications Technology), siamo convinti che per cambiare davvero le cose le maggiori sigle sindacali e le organizzazioni più grandi che rappresentano i datori di lavoro debbano concentrarsi sulla definizione di un contratto collettivo che sia fuori dagli schemi tradizionali dell’orario di lavoro o dalle mansioni operative, ragionando più sugli obiettivi e sull’utilizzo dell’ingegno.
In questo stesso contesto, anche la possibilità di interrompere il rapporto deve essere diversa da come è oggi o, meglio, non si può essere “americani” quando le cose vanno bene e “italiani” quando ormai i rapporti si sono deteriorati.
La presenza di contraddizioni all’interno di chi rappresenta le parti sociali nuoce alla causa comune e purtroppo le aziende ed i lavoratori coinvolti ogni giorno nella produzione si sono abituati agli inconcludenti confronti di chi non li rappresenta adeguatamente.
Un contratto collettivo nazionale di lavoro condiviso permetterebbe di rispettare i diritti di tutti (aziende e lavoratori) e di colmare le distanze che ancora esistono tra contrattazione collettiva e realtà operativa. Per far sì che questa sottoscrizione non diventi l’ennesima occasione persa, le classi dirigenti dovrebbero ragionare ancora un po’ e, probabilmente, lavorare di più. L’interesse è tanto, ma dalle parole bisogna passare ai fatti, e bisogna farlo presto.
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